Ero indeciso se usare “(s)tornelli” nel titolo del post, perché stornelli, nel senso di “sturnel” (friulano) italianizzato, era un gioco di parole che rendeva meglio, ma poi “dei stornelli” non suonava bene e allora ho lasciato cadere la “s”.
Va bene anche così.
L’Italia è (ancora) il Paese dei tornelli perché si ostina (ancora) a misurare il lavoro in modo sbagliato.
L’italia è (ancora) il Paese dei tornelli perché (ancora) non misura il merito.
L’Italia è (ancora) il Paese dei tornelli perché (ancora) non vuol fare la fatica di misurare il raggiungimento dei risultati e si accontenta di misurare la presenza. Per poi trovarsi a lamentarsi del mancato raggiungimento dei risultati.
E così ci ritroviamo sindacati che gridano allo scandalo quando il ministro Poletti afferma che l’orario di lavoro non può essere l’unico metro di valutazione. Oppure ad essere fanalino di coda nelle classifiche sullo smart working. Oppure, ancora, mettiamo i badge negli enti pubblici (e, sigh, anche nelle sedi di partito) nell’errata convinzione che controllare orario d’entrata e uscita dei dipendenti sia una buona approssimazione del controllo sulla loro produttività.
Invece, in fondo lo sappiamo, non funziona così. Quello che va misurato sono i risultati, ma per farlo occorrerebbe superare un ostacolo che nel nostro Paese sembra insuperabile, ovvero definire gli obiettivi e gli indicatori di risultato. Un’attività che fa il paio stretto con la capacità di rispondere a domande del tipo “perché lavoro qui?” o “cosa chiedo ai miei collaboratori?”, che troppo spesso ricevono la risposta, più o meno conscia, “per prendere lo stipendio a fine mese” e “che non creino casini e che facciano quello che dico quando glielo dico”.
Questa incapacità a definire e formalizzare gli obiettivi e quindi anche a programmare le azioni è uno dei tanti ostacoli alla digitalizzazione del Paese, ma ha ripercussioni anche nella vita democratica.
È in un Paese (ancora) così che può passare l’idea che una settimana senza lavoro d’Aula equivalga ad un mega ponte per i parlamentari. Una sciocchezza a cui ha provato a rispondere con un comunicato stampa la Presidente Boldrini, ma la “difesa”, secondo me non funziona.
Cosa faranno mai i parlamentari se non sono in aula a votare?!
Cambiamo il Paese e il modo di fare politica, impariamo a definire gli obiettivi, con il coraggio di indicare chiaramente cosa si vuole raggiungere e come si misurerà il fallimento o il successo. Trasformiamo i tornelli in cruscotti, per tenere d’occhio i risultati. Non ci sarà più bisogno di domandarsi se quel tale “ha timbrato il cartellino”. Sarà del tutto irrilevante. Non ci sarà più bisogno di giustificare quello che si fa perché i risultati parleranno da soli.
Finalmente cambieremo verso e l’Italia sarà il Paese del merito.
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